miércoles, 21 de febrero de 2018

"Istituti Italiani in Argentina. Il Circolo Italiano di Buenos Aires", de Ugo E. Imperatori (1931)





«Nel cuore della Capitale argentina, in quella Calle Florida che ne è la più elegante arteria, ha la propria sede magnifica il Circolo Italiano.
Non si trata d’un elegante piano terreno, nè d’un apartamento di quattro sale, che raccolga i soci dell’antica istituzione: ma d’un solemne edificio di dodici piani che s’eleva su di una superficie di milleduecento metri quadrati, all’angolo in cui Calle Florida s’incrocia con la Calle Corrientes, tumultuosa di traffici. Il Circolo stesso è propietario dell’edificio solemne, il quale è interamente destinato alla vita dei soci e degli ospiti: poichè esso contiene sale di riunione e sale da gioco, biblioteca e sale di lettura, sale di scherma e ginnastica e stanze da bagno, cinematrografo e ristorante, sale da bigliardo e salotti per le signore, ed appartamenti destinati ad ospitare le personalità italiane più insigni che vanno ad onorare il nome della Patria in Argentina.
Il grandioso ambiente è arredato con ottimo gusto: uomini ed evento d’Italia vi son presenti allo spirito nelle numerose opere d’arte diffuse per le sale. Nelle sale di lettura, giornali e periodici italiani costituiscono la più abbondante dotazione dell’emeroteca: e le Riviste del nostro Touring vi son ricercate avidamente dai soci.
La biblioteca s’è arricchita, da pochi anni, dei volumen numerosi che ad essa donò una delle più belle figure della nostra collettività di Buenos Aires, l’avvocato Giovanni Rolleri, morto nello scorso anno: il quale – animatore d’ogni bella iniziativa d’italianità nella capitale argentina – volle che al massimo centro di convegno degli Italiani e dei figli d’Italiani la propria ricca biblioteca dicesse ancora parole animatrici dopo la norte di lui.

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Il Circolo Italiano di Buenos Aires fu fondato nel 1873; ed ebbe un primo periodo d’intenso sviluppo dal 1880, cioè da quando si fuse col “Circolo Vittorio Emanuele”. Fin d’allora le figure nostre più rappresentative nelle arti, nelle industrie e nei commerci convennero abitualmente al Circolo, il quale ebbe e mantenne sempre fede al più semplice dei programmi: tener sempre viva negli Italiani e nei loro discendenti la fiamma dell’italianità, stringendo in continui e cordiali rapporti di convivenza e di frequenza i soci sempre più numerosi dell’associazione.
Così, per otre mezzo secolo, i nostri maggiori politici, letterari, scienziati, artisti che si recarono in Argentina furono graditi e grati ospiti del Circolo Italiano, ove tennero conferenze e presenziarono riunioni, ispirate alla tradizionale esaltazione dei valori della Patria italiana.
La buona tradizione è continuata ininiterrotta fino ad oggi: per essa furono festeggiati con particolare entusiasmo i Principi di Casa Savoia – il Duca degli Abruzzi, il Principe di Udine, il Principe Aimone – che successivamente dimorarono, graditissimi ospiti, a Buenos Aires.
Ed un Principe di Casa Savoia – Umberto, erede del Trono – inaugurò nel 1924 il nuovo edificio grandioso di Calle Florida, fra l’esultanza dei Soci e della Colonia italiana.»

Ugo E. Imperatori, «Istituti Italiani in Argentina. Il Circolo Italiano di Buenos Aires», en VIAL 8,  agosto 1931.

Imagen: Circolo Italiano di Buenos Aires – Piano nobile: sale per le signore.

martes, 20 de febrero de 2018

"Fasti della colonia italiana in Argentina. Un fulgido ventennio", de Doro Rosetti (1928)



«Nel 1865 Buenos Aires contava all’incirca 150.000 abitanti, meno di un decimo della popolazione attuale. Anche rispetto alla superficie la città era di proporzioni modeste. Poche erano le case che avessero due piani, e cioè uno in più di quello terreno: le vere strade normali al fiume non raggiungevano il numero di venti e ancora meno eran quelle longitudinali.
Calle Callao, l’odierna mediana della metropoli, pareva in quel tempo tracciata quasi… nella Pampa. I limiti estremi della città erano il Riachuelo, le strade Boedo, Castro, Medrano, Rivera e l’arroyo Maldonado. Il quartiere, oggi tanto popoloso della Boca, era allora costituito da un grupo di poche capanne di legno costruite sopra palafitte, perchè in quella plaga erano frequentissime le inondazioni. Flores, Floresta, San Martin, entrati poi a far parte del nucleo metropolitano, erano piccoli comuni limitrofi ove andavano in villeggiatura le famiglie benestanti.
Benchè i cittadini si gloriassero del nome di porteñi, un vero e proprio porto non esisteva. Al posto di quel Puerto Madero, che è legittimo orgoglio degli Argentini moderni ed è il primo palese segno della grandeza e della floridezza della Repubblica, non vi era allora nulla, assolutamente nulla. Le navi dovevano ancorarsi al largo nel Rio della Plata: persone e merci venivano trasbordate su vaporetti o barche che nemmeno potevan raggiungere la riva. Era necesario un secondo trasbordo su carri trainati da cavalli e talvolta da buoi, i quali si spingevano nel fiume quanto più lontano potevano dalla línea delle lavandaie che costantemente segnava il limite estremo dell’acqua. L’uso dei carri per lo sbarco durò per molti anni: anche dopo la costruzione di moli in legno, a cui potevano, nelle ore di alta marea, attraccare i vaporetti e i velieri di minore tonnellaggio. Oggi non è più che un ricordo dei vecchi: e i giovani, di certo, male si raffiigurano il pittoresco quadro delle donne intente a insaponare e risciacquar panni sulle sponde del fiume, proprio là dove oggi i flutti del Rio si infrangono contro i mastodontici blocchi di cemento dei bacini; mal si raffigurano l’umile donnesca fatica esercitata là dove ora ferve la più febbrile e rumorosa vita della città, dove s’ergono ciclopici silos, dove a fianco dei piroscafi si muovono a migliaia vagoni ferrorviari, carri ed autocarri, dove gru potenti e colossali volgono in ogni direzione le loro prensili braccia.
Buenos Aires era dunque, più di cinquanta anni or sono, una città piccola e in complesso poco attraente. Nelle sue arterie scorreva però tale linfa che anche un inesperto viaggiatore ne poteva preveder subito, al primo arrivarvi, il prodigioso avvenire. Dietro essa era tutto un territorio quasi incolto e di grande fertilità, che aspettava soltanto di essere dissodato. La fama di tanto tesoro era sparsa per il mondo e gli uomini intraprendenti vi arrivavano da fronte ai pericoli e ai disagi del lungo viaggio transoceanico, quando, per le voci e più per l’esempio di quanto li avevano preceduti, sapevan che vi eran laggiù premio rapido e sicuro per tutti gli uomini di buona volontà.
L’aflusso immigratorio, di qualsiasi provenienza, non era però così vario e proporzionato per categorie come avrebbero desiderato i dirigenti del paese. In esso, i contadini formavano la grande massa: dopo di quelli venivano gli operai manuali, e poi i commercianti. Arrivavano alla Repubblica anche uomini di lettere e di scienze: eran però sempre in numero esiguo, e molto spesso i migliori professionisti non vi si sapevano acclimatare oppure se ne ripartivano presto, dopo aver accumulato qualche modesto gruzzolo.
Complesse sono le ragioni di questo fenomeno, che allora era assai acuto e che del resto si è sempre verificato in tutti i paesi di forte immigrazione.»

Doro Rosetti, «Fasti della colonia italiana in Argentina. Un fulgido ventennio» en Le vie d’Italia e dell’America Latina. Rivista mensile del Touring Club Italiano. Anno XXXIV, N. 5 (Anno V dell’Ediz. per l’America Latina), maggio 1928.

Imagen: «Buenos Aires a vista de pájaro», de D. Dolin (circa 1865). Descripción: En el centro aparece el edificio de la Aduana Taylor (o Aduana Nueva), con su muelle. En el río se observan carretas para el desembarque de pasajeros y mercaderías, así como navíos a vela y a vapor. Museo del Bicentenario (Buenos Aires).