sábado, 26 de noviembre de 2016

Lontani ricordi della Repubblica Argentina, Grisante Borgondo (1950)




«All’Eccelentis. Generale
DON JUAN DOMINGO PERON
Presidente della Repubblica Argentina
L’augurio, che possa realizzare i
Suoi alti ideale, per un avvenire
Sempre migliore della Sua Nazione

ARGENTINOS, ITALO-ARGENTINOS,
Agradecemos muy mucho a Ustedes, puès quisieron onornanos de presencia para oir esta mi pobre palabra: pido à Ustedes disculpa, si en mi poca preparación por cierto no podrè cabla de la Republica Argentina como merece. Aseguro, que mi corazón aùn después de tantos anos todavía es lleno de sentimientos de amòr hacia esa grande tierra.

EVIVA ARGENTINA

SIGNORE, SIGNORI,

ho creduto mio dovere prima di ogni cosa ringraziare la collettività argentina per averci onorato di presenza ed ho chiesto venia, se nelle mie poche possibilità, no potrò parlare di quel grande paese, come si conviene.
Non è senza grande commozione che inizio la mia lettura, poichè il mio attaccamento verso l’Argentina è così vivo, sebbene sia quasi trascorso mezzo sezolo, d’avermi prima pensoso ed ora quasi tremante di non poter assolvere il mio impegno, di non poter porgere a Voi questi miei ricordi secondo i miei intendimenti.
Era ed è ancora oggi risaputo da tutti, che chiunque abbandoni la propria patria, per tentare l’avventura nelle lontane Americhe, ha già prefisso nella sua mente la speranza di trovare al suolo pesos, dollari, reis, a seconda della nazione in cui sbarca. Forte di quella speranza non appena giunto colà, cerca, avidamente; fu, Vi assicuro, una amara delusione. Non solo, ma ai primi giorni mi capitò una disaventura, che poteva avere gravi conseguenze per me. Una mattina salii sopra una tramvia per recarmi alla parte periferica di Buenos Aires, mi accostai al fattorino per corrispondere l’importo del biglietto e quegli mi disse: “Tiene, Uste, que bajarse, Senor”. Feci un rapido esame mentale per poter capire quello che mi avesse detto; bacarse, bacato. Allora ero giovane alquanto vigoroso non certamente bacato. Alla replica del fattorino compresi più dal gesto, che dalla parola la necessità di scendere dalla vettura. Ne conobbi in seguito la ragione; in quel tempo sulle vetture tramviarie potevano rimanere solo persone sedute. Alquanto confuso raggiunsi l’uscita, spiccai un salto, ma con la persona rivolta in senso contrario al movimento della tramvia, che aveva già ripresa la sua corsa, toccai il suolo e caddi riverso, restando alquanto tramortito.
Buenos Aires è divisa in due parti da due lunghe vie: l’Avenida de 25 Mayio e la calle Rivadavia, questa del nome del primo presidente della Repubblica Argentina. Si diceva allora, che un toscano, nell’attraversare questa via, leggesse rivada via ed esclamasse: “Sicuro che me ne vado via”. Anch’io dopo la mia disavventura pensai di fare altrettanto.

Il principio di una vita nuova in un paese straniero è sempre difficile, irto di difficoltà, pieno di incognite. Chi si avventura deve sopportare con forza disagi, avversità, durezza del vivere, difficoltà della parola, l’ansia di guadagnare un pezzo di pane, anche, se questo costa poco. Aggiungete il fattore morale, il pensiero costante della famiglia, il ricordo del paese dove siete nati, dove avete vissuto la prima parte della vostra vita, certamente la migliore, e non avrete che una pallida idea delle inaudite sofferenze dell’umile emigrato. Solamente chi ha provato può darsi ragione, notare questi sentimenti che deprimo il morale, che agiscono sui centri nervosi, inibendo la corrente che sostenta lo spirito. Sovente l’emigrato non potendo sopportare le avversità ritorna in patria o si abbandona agli eventi spesso funesti.

[...]


SIGNORE, SIGNORI,
se qualcuno di voi dovesse per avventura recarsi nelle Americhe, sia più provveduto di me, non creda di trovare denari al suolo, giudichi queste dicerie nel suo valore simbolico. E’ solamente dal duro, diuturno sacrificio del lavoro e, nella Repubblica Argentina, dalla coltivazione della terra, che nascono benefici sicuri.

L’Argentina è un paese di grande avvenire, d’immigrazione e di colonizzazione per eccellenza; è la nazione che meglio risponde al noi latini per il clima, per l’affinità di vivere: ragioni tutte, che rendono meno penosa la nostalgia della Patria lontana.

 Per il bene dell’umanità tutta è desiderabile che si avveri il detto della prima parte della canzone nazionale argentina:

Oid, Mortales, el grito sagrado
Libertad, Libertad, Libertad.

Udite, o mortali il grido sacro “Libertà”).

Auguriamoci che le nubi, adensatesi sull’orizzonte europeo abbiano a diradarsi, scomparire completamente, e dar luogo all’azzurro del cielo: azzurro di cui fa parte la nostra bandiera bresciana e quella più grande della Repubblica Argentina, azzurro, che vuol significare tranquillità, pace, lavoro.

E’ dovere di ogni straniero residente in quella terra ospitale opporre, accanto alla propria bandiera, quella nazionale argentina, in occasione di manifestazioni: esprimo forte l’augurio, che le nostre due bandiere possano sempre camminare unite per un avvenire migliore delle due Nazioni, madre l’una di cose grandi nei tempi, figlia onorevole, benedetta, l’altra.

EVVIVA L’ARGENTINA»

Grisante Borgondo. Lontani ricordi della Repubblica Argentina. Brescia, 26 gennaio 1950. Auspici “La famija Piemönteisa” ed il Circolo Argentino di Brescia.

Más información: Testimonianza storica di un piemontese in America


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